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Thumbnail ROMAGNA: Teatri di Bagnacavallo e Sant'Agata Feltria per lista Unesco | FOTO

ROMAGNA: Teatri di Bagnacavallo e Sant'Agata Feltria per lista Unesco | FOTO

ATTUALITÀ - Il teatro Mariani di Sant'Agata Feltria (Rimini) e il teatro Goldoni di Bagnacavallo (Ravenna) sono candidati all'iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale Unesco per il 2026 come "Sistema dei teatri condominiali all'italiana nell'Italia centrale fra XVIII e XIX secolo" che, dopo la recente decisione interministeriale, inizia il percorso ufficiale per il riconoscimento come Patrimonio mondiale dell'Umanità Unesco. In tutto sono 18 i teatri di altrettanti Comuni di Marche, Emilia-Romagna e Umbria scelti come testimonianza unica del valore di un patrimonio culturale che riunisce i teatri condominiali più rappresentativi sviluppati tra il Settecento e l'Ottocento per volontà delle piccole comunità locali, con le quali hanno mantenuto nel tempo un forte legame. "Una buona notizia che sottolinea il valore della nostra rete di teatri storici diffusi su tutto il territorio regionale - dicono il presidente della Giunta, Michele de Pascale, e l'assessora regionale alla Cultura, Gessica Allegni - I due teatri sono parte di quel patrimonio culturale che vogliamo conservare e valorizzare per mantenerne viva la funzione, oltre a garantirne la trasmissione alle generazioni future. Un patrimonio non solo architettonico fortemente radicato nelle comunità locali, testimone della ricchezza e vivacità culturale che caratterizza, ancor oggi, i nostri Comuni. È una candidatura corale che accomuna Emilia-Romagna, Marche e Umbria, a riconoscimento dell'unicità di questi luoghi. Vogliamo ringraziare la Regione Marche, capofila dell'iniziativa, per l'importante lavoro di condivisione e di coordinamento".

Thumbnail CESENA: Al Bonci arriva Antonio e Cleopatra di Shakespeare, regia di Valter Malosti | VIDEO

CESENA: Al Bonci arriva Antonio e Cleopatra di Shakespeare, regia di Valter Malosti | VIDEO

Arriva al Teatro Bonci di Cesena dal 23 al 26 gennaio (da giovedì a sabato alle ore 20.30, domenica alle 16.00) Antonio e Cleopatra di William Shakespeare con la regia di Valter Malosti, anche co-curatore della traduzione in versi dell’opera con l'anglista Nadia Fusini. Protagonista insieme a Malosti è Anna Della Rosa; con loro un ampio cast di attrici e attori affermati e giovani talenti (Danilo Nigrelli, Dario Battaglia, Massimo Verdastro, Paolo Giangrasso, Noemi Grasso, Ivan Graziano, Dario Guidi, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta, Carla Vukmirovic). Lo spettacolo è una produzione di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale con Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura. Per l'occasione sono in programma anche la lezione Shakespeare e il teatro elisabettiano del Professor Gerardo Guccini, studioso di teatro già docente di Drammaturgia presso l’Università di Bologna, (venerdì 17 gennaio alle ore 18.00) e l’incontro con Valter Malosti, Anna Della Rosa e la compagnia, moderato dal Professore dell’Università di Bologna Enrico Pitozzi nell’ambito del ciclo Conversando di teatro (sabato 25 gennaio alle ore 18.00).

Thumbnail FAENZA: “L’angelo necessario”, al MIC una mostra dedicata a Giacinto Cerone” | VIDEO

FAENZA: “L’angelo necessario”, al MIC una mostra dedicata a Giacinto Cerone” | VIDEO

A vent’anni dalla sua scomparsa, dal 18 gennaio al 27 aprile 2025, il MIC di Faenza dedica all’artista Giacinto Cerone - di cui possiede diverse opere nella propria collezione - una grande mostra a cura del critico d’arte Marco Tonelli che “riscopre” l’artista e raggruppa oltre quaranta sculture di vari materiali e periodi, più una serie di oltre trenta disegni (alcuni di grande formato). Giacinto Cerone (1957-2004) è stato uno dei più originali e liberi scultori italiani, lontano da raggruppamenti, scuole, movimenti, stili o mode del momento. L’irruenza del suo linguaggio si misura a partire dai differenti materiali impiegati sia nella produzione scultorea (legno, ceramica, plastica, metallo, marmo, gesso, pietra) che in quella disegnativa, per lo più indipendente dalla realizzazione delle opere plastiche, oltre che nell’uso di tecniche legate alla velocità e alla gestualità. Faenza è stata per Cerone una meta preferenziale fin dal 1993, quando cioè presso la bottega Gatti ha realizzato una serie di ceramiche smaltate utilizzando tecniche di lavoro forse poco ortodosse ma di forte espressività e sperimentando un grande varietà di colori e forme. La mostra privilegia il modo stesso di operare di Cerone: per serie tematiche (come nelle rosse Malerbe, i Fiumi vietnamiti, i Gessi) o per singole opere dal carattere emblematico e per certi versi iconico e funerario (come Cenacolo e Ofelide). È in questa tensione che si gioca, nella diversità dei materiali, la struttura curatoriale della mostra "L’Angelo necessario", quella sorta di “figura approssimativa”, “intravista, o vista un istante” descritta dal poeta statunitense Wallace Stevens e spesso delineata in modo inafferrabile nelle imperfette e liminali figure della statuaria interrotta di Cerone. La mostra realizzata col coordinamento scientifico dell’Archivio Cerone e il sostegno di collezionisti privati vuole delineare la figura di uno scultore a tutto tondo e di una scultura totale (capace di distendersi orizzontalmente o addossarsi alle pareti), senza resti, di un artista attento anche al modo di installare le proprie esposizioni come fossero esse stesse opere in sé. L’allestimento della mostra "L’Angelo necessario", intende così riflettere il procedere di Cerone come fosse un gesto unico, senza soluzione di continuità tra materia e forma, vita e morte, pur nella diversità dei materiali e delle “sale” tematiche ricreate sfruttando la configurazione stessa dello spazio espositivo. “Giacinto Cerone ha affrontato nella sua intera opera temi contrastanti - dichiara Marco Tonelli -  e profondi della nostra cultura: la vita e la morte, la ferita e la bellezza, l’abbandono e la reazione, simboleggiati da figure rotte, ricomposte, totemiche e funerarie, elegiache e impulsive, rigide e vitali. Potremmo leggere la sua produzione come un sismografo di inquietudini private e ansie collettive, spesso rimosse per quieto vivere o soffocate da apparati normativi. Il suo è stato un atto totale che, come scriveva Carmelo Bene riferendosi ai geni creativi, era anche “giocare altrove”, soprattutto per chi voglia ancora oggi comprenderlo e condividerne le sollecitazioni esistenziali”.


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