9 APRILE 2025

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NOTIZIA DI CRONACA

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9 APRILE 2025 - 09:00


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COLOMBIA: Ricercatore ferrarese di 38 anni ucciso e fatto a pezzi | VIDEO

Un ricercatore italiano di 38 anni, nato nel Ferrarese e cresciuto ad Alfonsine, è stato ucciso e fatto a pezzi in Colombia. Alessandro Coatti, questo il suo nome, si trovava in Sudamerica da qualche tempo per un viaggio tra Perù, Bolivia, Ecaudor e infine Colombia. L’ultimo avvistamento del 38enne risale a sabato sera, quando era uscito per recarsi in un locale, poi del ragazzo nato a Portomaggiore nel 1986 si sono perse le tracce. Fino al macabro ritrovamento nei pressi della cittadina di Santa Maria, non troppo distante da Bogotà, dove sono state rinvenute le braccia e la testa dell’uomo in una valigetta, mentre altri pezzi sono stati recuperati nella giornata di lunedì in prossimità dello stadio della città. Per risalire all’identità di Coatti è stato determinante il braccialetto di un hotel che aveva al polso, con l’ambasciata italiana che si è subito attivata per informare la famiglia. Messaggi di cordoglio anche da parte della Royal Society of Biology di Londra, per cui Alessandro aveva lavorato fino alla fine dell’anno scorso, prima di partire alla volta del Sudamerica. Nel frattempo la Procura di Roma ha annunciato l’apertura dell’indagine per scoprire le cause dietro all’omicidio del 38enne,  mentre il sindaco di Santa Maria, la città colombiana dove è stato ritrovato Coatti, ha annunciato una ricompensa di 50 milioni di pesos, circa 10 mila euro, a chiunque fornisca informazioni utili ad individuare e arrestare i responsabili dell’omicidio del ricercatore italiano. Tra le varie ipotesi, al momento non decolla la pista di una rapina finita male, mentre non si esclude quella legata al commercio di organi.

 

Foto: Royal Society of Biology




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BOLOGNA: Delitto Stefani, il compagno, “Sofia tornava a casa piena di lividi” | VIDEO

“Era splendida, solare, empatica, ma al tempo stesso bipolare. Aveva questo disturbo e io mi prendeevo cura di lei durante la nostra convivenza. Lei lo chiamava il nonnino, di lui si fidava”. Lui è Giampiero Gualandi, il 63enne ex comandante della polizia locale di Anzola, nel Bolognese, accusato dell’omicidio di Sofia Stefani, avvenuto il 16 maggio scorso a soli 33 anni. Le parole sono quelle di Stefano Guidotti, il compagno di Sofia, nel processo di primo grado davanti alla Corte d’Assise, che tracciano il profilo psicologico della giovane vigilessa e della sua relazione con il comandante, “A un certo punto ho intuito che ci fosse qualcosa, ma mi sembrava surreale. Ogni tanto tornava a casa con dei lividi, una volta disse che era andata dal dentista perché Gualandi le aveva rotto un dente durante una colluttazione.” Nonostante i segnali, però, era difficile per Guidotti intervenire, “Aveva degli sbalzi d’umore improvvisi, che esplodevano in picchi d’ira. Quando le chiedevo spiegazioni sui lividi in corpo trovava delle scuse”, prosegue Guidotti, che incalzato dalle domande dell’accusa e dei legali di parti civile, lancia il carico da novanta, “Sofia mi aveva confidato che Gualandi non sopportava le colleghe, soprattutto la comandante Fiorini, e che quando avrebbe assunto il potere le avrebbe lasciate ‘morire senza morire’”. Dettagli, quelli di un attaccamento morboso e pericoloso, descritti anche da Antonella Gasparini, amica della vittima, “Tra di loro c’era un rapporto tossico, carnale, lui le aveva fatto anche molte promesse sul lavoro, ma ultimamente erano molto tesi. Lui addirittura una volta le disse ‘guarda che ho una pistola’”.