14 APRILE 2025

16:47

NOTIZIA DI CRONACA

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14 APRILE 2025 - 16:47


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RIMINI: Su Dassilva mosaico di indizi, manca pista alternativa

Un mosaico di indizi, che, se ricomposti e letti insieme, portano ad un'unica conclusione. E l'inesistenza di un'ipotesi alternativa. Sono i motivi, in sintesi, per cui il Gip di Rimini Vinicio Cantarini ha rigettato la richiesta di scarcerazione del 35enne Louis Dassilva. L'omicidio di Pierina Paganelli, per il giudice, non ha movente predatorio-sessuale, ma è legato a rancori e risentimenti personali: chi l'ha uccisa conosceva le sue abitudini e i suoi movimenti e anche i luoghi, il condominio e il piano seminterrato dei garage. L'assassino, quindi, è persona del condominio (come Dassilva). Il senegalese, inoltre, non ha un alibi per l'orario del delitto, sostiene il Gip: la fascia oraria in cui il cellulare risulta inattivo gli avrebbe consentito di scendere al piano, commettere l'omicidio, risalire in garage e poi in casa. La moglie non gli avrebbe fornito un alibi sicuro, in quanto si coricò intorno alle 22 e quindi prima dell'assassinio. Contro Dassilva c'è anche la sua possibile presenza nel garage accertata dal perito fonico che ha identificato una voce maschile, attribuita a lui, nei momenti delle urla della vittima. Riconoscimento che, però, andrà meglio verificato. Dassilva, inoltre, avrebbe avuto un movente: eliminare l'anziana perché le sue 'indagini' avrebbero portato alla luce la relazione extraconiugale con la nuora Manuela Bianchi. Nuora ritenuta credibile, nella sua testimonianza. E con cui l'indagato ha invece rifiutato il confronto. L'ipotesi affermativa adombrata dalla difesa, cioè che nell'omicidio siano coinvolti i Bianchi (Manuela e il fratello Loris) allo stato viene definita congetturale.




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BOLOGNA: Delitto Stefani, il compagno, “Sofia tornava a casa piena di lividi” | VIDEO

“Era splendida, solare, empatica, ma al tempo stesso bipolare. Aveva questo disturbo e io mi prendeevo cura di lei durante la nostra convivenza. Lei lo chiamava il nonnino, di lui si fidava”. Lui è Giampiero Gualandi, il 63enne ex comandante della polizia locale di Anzola, nel Bolognese, accusato dell’omicidio di Sofia Stefani, avvenuto il 16 maggio scorso a soli 33 anni. Le parole sono quelle di Stefano Guidotti, il compagno di Sofia, nel processo di primo grado davanti alla Corte d’Assise, che tracciano il profilo psicologico della giovane vigilessa e della sua relazione con il comandante, “A un certo punto ho intuito che ci fosse qualcosa, ma mi sembrava surreale. Ogni tanto tornava a casa con dei lividi, una volta disse che era andata dal dentista perché Gualandi le aveva rotto un dente durante una colluttazione.” Nonostante i segnali, però, era difficile per Guidotti intervenire, “Aveva degli sbalzi d’umore improvvisi, che esplodevano in picchi d’ira. Quando le chiedevo spiegazioni sui lividi in corpo trovava delle scuse”, prosegue Guidotti, che incalzato dalle domande dell’accusa e dei legali di parti civile, lancia il carico da novanta, “Sofia mi aveva confidato che Gualandi non sopportava le colleghe, soprattutto la comandante Fiorini, e che quando avrebbe assunto il potere le avrebbe lasciate ‘morire senza morire’”. Dettagli, quelli di un attaccamento morboso e pericoloso, descritti anche da Antonella Gasparini, amica della vittima, “Tra di loro c’era un rapporto tossico, carnale, lui le aveva fatto anche molte promesse sul lavoro, ma ultimamente erano molto tesi. Lui addirittura una volta le disse ‘guarda che ho una pistola’”.